Sono galline ovaiole ma anche tanti altri tipi di animali che non fanno uova ma fanno cuccioli che gli umani mandano al massacro. Ci sono mucche, maiali, bufale, vitelli. Persino cavalli che cercano spazi come l’aria. Per loro si mobilita da anni il mondo delle associazioni che sono a favore degli animali. Recentemente, ed è una importante novità, ad esse si sono uniti gruppi italiani (e non) di imprese, note nel mondo, che producono cibo ed altro. Basta citare, su tutti, Barilla e Ferrero, l’Ikea e Jamie Oliver, Aldi, i nostri supermercati Piccolo ma anche multinazionali come Nestlé, Unilever e Mondelēz che all’unisono dicono all’Unione europea di eliminare le gabbie negli allevamenti.
Intanto, sono oltre 140 gli scienziati, fra i quali l’etologa Jane Goodall, che da tutto il mondo hanno inviato una lettera alla Ue a sostegno della proposta di legge europea di iniziativa popolare (Ice) che mira ad eliminare gradualmente l’uso delle gabbie negli allevamenti dell’Unione. Tra i firmatari della lettera ci sono anche 12 italiani. L’iniziativa che chiama all’appello tutti i cittadini europei denominata ‘End the Cage Age’ ha già ottenuto più di 1,4 milioni di firme. Un fronte che si allarga sempre di più con dentro anche grandi gruppi internazionali ed imprese del calibro di quelle appena citate assieme a tante altre che hanno fatto arrivare alla Commissione e al Parlamento Europeo il loro appello chiedendo il varo di una legge che porti a pratiche agricole più etiche. Una lettera accorata nel corso della quale i 140 scienziati, su tutti Jane Goodall, affermano che gli animali allevati nelle gabbie «vivono una vita miserabile» e si vedono privati della possibilità di esprimere i loro comportamenti naturali. E questa è una crudeltà inutile perché «un modo migliore di allevare esiste». La lettera è stata inviata alla presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, al vicepresidente Hans Timmermans (colui che ha la delega per l’attuazione del cosiddetto «New green deal») e ai commissari all’Agricoltura e alla Salute alimentare Janusz Wojciechowski e Stella Kyriakides, chiedendo di voltare pagina.
Il primo loro riferimento in questa battaglia di civiltà è chiaramente per le galline ovaiole ma l’appello si estende ad altri animali che tengono segregati in condizioni disumane. Essi chiedono di avviare il processo per superare metodi ormai datati che non tengono in debita considerazione il benessere degli animali allevati. A partire dalle galline che producono le uova di cui tutte quante fanno abbondante uso. «I sistemi senza gabbie — sottolineano — sono diffusi, economicamente sostenibili e forniscono migliori condizioni di vita per gli animali». Una lettera/richiesta che arriva in coincidenza con l’avvio della revisione della legislazione sull’animal welfare. «Siamo pronti a condividere la nostra esperienza — aggiungono — e a collaborare per raggiungere l’obiettivo».
Del resto, fanno notare le associazioni della coalizione End the cage age — che raggruppa 170 ong in tutta Europa, di cui 21 italiane — «molte aziende sono già avanti nel processo, avendo eliminato gradualmente le gabbie nelle loro catene di approvvigionamento. Un futuro senza gabbie è possibile e viene già attuato dalle aziende più progressiste». La scelta, non mancano di sottolineare, è di carattere etico: quello delle gabbie, scrivono, è un «uso crudele» e dovrebbe essere abbandonato «per tutte le specie allevate». Si stima infatti che in Europa gli animali attualmente allevati in gabbia sono oltre 300 milioni ogni anno. Un dato che inquieta e che fa dire in casa Barilla che «il cibo non è solo quello che mangiamo – come ha commentato Leonardo Mirone, direttore acquisti del Gruppo Barilla – ma si riflette sulla qualità di vita delle persone, sul benessere degli animali e sul pianeta. In tema di uova e ovoprodotti, Barilla crede che il confinamento sia una pratica lesiva del benessere delle galline. Abbiamo iniziato ad abbandonare le gabbie nel 2012 e dal 2019, con un anno di anticipo rispetto al nostro obiettivo iniziale, utilizziamo solo uova da allevamenti non in gabbia in tutte le nostre filiere globali». Gli fa eco il Gruppo Ferrero che rafforza il concetto e porta all’evidenza qualche dato. «La nostra filiera di uova è completamente integrata e, grazie alla stretta collaborazione con i nostri fornitori, Ferrero utilizza solo uova da allevamenti non in gabbia in Europa dal 2014 – spiega Francesco Tramontin, vice-president del Gruppo Ferrero -. Crediamo che questo dovrebbe essere lo standard per tutti e, quindi, sosteniamo pienamente l’Iniziativa dei Cittadini Europei End the Cage Age».
Il tema del rispetto per gli animali è stato da sempre anche al centro della famiglia Piccolo che con Michele e i figli Raffaele e Giusi sottolineano come da diverso tempo ci sia stata la volontà supportata da accordi commerciali siglati con aziende del territorio affinché si fornissero, per esempio, tutti i laboratori di produzione propria (le pasticcerie soprattutto ma anche le panetterie e la gastronomia) con prodotti, uova soprattutto, che arrivano da allevamenti biologici. Sono uova fresche di nottata venute da galline tenute all’aperto in condizione di totale libertà. La lotta per eliminare la triste realtà degli allevamenti intensivi che ci sono ancora su vasta scala sembra arrivata questa volta ad un punto di svolta.